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Non è una guerra per la terra, è una guerra per la verità

Se i leader palestinesi dovessero ammettere che gli ebrei hanno sviluppato una civiltà su questa terra 3.000 anni fa, tutta la loro narrazione e le accuse di colonizzazione e giudaizzazione andrebbero in frantumi ( James Sinkinson)

James Sinkinson

Non c’è dubbio che gli arabi vivono in Terra Santa da molte centinaia di anni. Non li si può biasimare per il fatto che ne rivendicano una parte. Il problema è che gli arabi palestinesi negano categoricamente che anche gli ebrei abbiano vissuto in questa terra, e in particolare che vivano ininterrottamente su questo loro minuscolo frammento di territorio da oltre 3000 anni. Questo rifiuto della storia ebraica porta i palestinesi a negare il diritto degli ebrei a viverci e ad avervi istituito il loro stato nazionale. In altre parole, il conflitto tra Israele e palestinesi non riguarda due stati, né la condivisione di beni territoriali in Terra Santa. Riguarda il fatto che gli arabi palestinesi rivendicano tutta questa terra, dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo, compreso tutto lo stato d’Israele. Ciò che molti vedono come una violenta guerra israelo-palestinese per la terra è invece più di tutto un conflitto sulle narrazioni e sulla legittimità, una guerra per la verità.
Il tentativo palestinese di negare la storia ebraica dura sin dall’inizio del conflitto. Ancor oggi i leader palestinesi rifiutano a priori ricerche storiche e reperti archeologici (monete, sigilli, iscrizioni) riconosciuti da tutto il mondo che attestano la storia, la legittimità e i diritti degli ebrei. Quei leader sono convinti che, se riescono a disgiungere la storia ebraica dalla Terra d’Israele, possono giustificare la loro lotta violenta. Il loro obiettivo è convincere il mondo che il conflitto riguarda una questione di colonialismo, di apartheid, di occupazione. Se dovessero riconoscere che gli ebrei hanno sviluppato una presenza e una civiltà su questa terra 3.000 anni fa, ben prima che gli arabi la conquistassero, tutta la loro teoria e la loro narrazione andrebbero in frantumi: ovviamente nessun popolo autoctono, come sono chiaramente gli ebrei, può “occupare” o “colonizzare” il proprio territorio.

Luglio 2021: manifestazione palestinese a Brooklin, New York. Sulla maglietta “intifada globale”, la mappa della Palestina che cancella Israele dalla carta geografica

Un esempio recente si è visto con la scoperta di una sezione delle mura della città di Gerusalemme costruite circa 2.700 anni fa, durante l’era del Primo Tempio, e in gran parte distrutte dall’esercito babilonese nel 586 a.e.v. La scoperta aggiunge un altro pezzo al puzzle archeologico che dimostra non solo che la storia ebraica nel paese risale a millenni fa, ma anche che essa corrisponde in modo significativo alle antiche fonti ebraiche. Dal momento che una scoperta archeologica di questo genere è devastante per la mitologia palestinese, non sorprende che la loro reazione sia stata immediata. Il portavoce di Hamas, Muhammad Hamadeh, ha dichiarato: “L’aggressione dell’occupazione non si è fermata di fronte alla falsificazione della storia e cerca anche di cambiare la realtà. E’ la continuazione di precedenti annunci relativi al presunto Tempio e dell’approccio [israeliano] basato sulla contraffazione, e dei piani di Israele volti a giudaizzare Gerusalemme e cancellare la sua identità araba islamica. L’annuncio di queste presunte scoperte arriva in concomitanza con gli accordi di normalizzazione [tra Israele e quattro paesi arabi] che le hanno dato una copertura internazionale”.
I leader palestinesi hanno sempre costantemente contestato qualsiasi legame storico ebraico con Israele in generale, e Gerusalemme in particolare. Agli inizi del XX secolo le sanguinose rivolte arabe di massa contro gli ebrei furono in gran parte attizzate dall’accusa secondo cui gli ebrei stavano “giudaizzando” Gerusalemme e altri luoghi santi. Questi erano gli slogan mobilitanti dell’amico e collega di Hitler, il Gran Mufti Haj Amin al-Husseini. La menzogna è continuata fino ad oggi. Mahmoud al-Habash, consigliere di Abu Mazen per gli affari religiosi, ha affermato che “la Gerusalemme ebraica è una leggenda”.

Medaglione del VII secolo e.v. con incisi shofar, menorà e rotolo della Torà, rinvenuto a Gerusalemme

A proposito di un medaglione d’oro scoperto in uno scavo archeologico presso il muro meridionale del Monte del Tempio, notevole per i classici simboli ebraici che vi sono impressi come una menorà, uno shofar e un rotolo della Torà, l’ex primo ministro palestinese Abu Ala ha dichiarato che è solo un falso. Adnan al-Husseini, ministro dell’Autorità Palestinese per gli affari di Gerusalemme, ha affermato che “Israele persegue una politica di giudaizzazione e falsificazione il cui scopo è inventare una connessione ebraica con Gerusalemme”. Lo stesso presidente Abu Mazen ha usato argomenti simili come slogan per fomentare moti violenti sul Monte del Tempio e nei suoi dintorni. L’anno scorso la tv dell’Autorità Palestinese ha ripetutamente mandato in onda un video in cui Abu Mazen nega di nuovo la storia di Israele a Gerusalemme sostenendo che i palestinesi devono “contrastare le trame [israeliane] che vengono tessute contro di essa per plasmare la sua identità e cambiarne il carattere”.
Queste affermazioni creano un grave problema per i palestinesi e per tutti coloro che rispettano la verità. Nessun esperto serio, storico o archeologo, dubita dell’originario legame storico del popolo ebraico con la Terra d’Israele. In effetti, l’evidenza è schiacciante: non c’è praticamente luogo in Terra Santa – nello stato d’Israele così come nei Territori contesi – che non abbondi di prove inconfutabili della storia e della civiltà ebraica. Quasi non passa giorno senza che qualche nuova scoperta archeologica confermi di nuovo le radici ebraiche in questa terra. Ma la delegittimazione della storia ebraica in Terra d’Israele serve a un altro scopo palestinese: offre alla dirigenza palestinese un pretesto per spingere al delirio la propria gente. Il che porta direttamente a violenze e spargimento di sangue, come si è visto di recente a Gerusalemme, quando si è arrivati persino ad attacchi missilistici di Hamas contro i civili israeliani.


La tv ufficiale dell’Autorità Palestinese ha così sintetizzato la teoria delle invenzioni ebraiche in una trasmissione del 2015 (tradotta da Palestine Media Watch): “La storia del Tempio non è altro che una raccolta di leggende e miti per ragioni politiche. Loro [gli ebrei] hanno fissato la Palestina e Gerusalemme come loro obiettivo, e hanno messo i miti al servizio dei loro obiettivi dichiarati di occupazione e imperialismo. Nello spirito di inganni e leggende, cercano di sbarazzarsi della [moschea] al-Aqsa e di istituire il loro cosiddetto Tempio, il più grande crimine e falso della storia”.

Abu Mazen ha attivamente cercato di sostituire i fatti e la storia ebraici con la finzione. Nel 2014 ha affermato: “Le autorità di occupazione israeliane si stanno affrettando a cancellare e rimuovere il carattere arabo islamico-cristiano di Gerusalemme est insistendo coi loro sforzi per raggiungere il loro obiettivo finale di giudaizzare Gerusalemme”. In altre parole, per la dirigenza palestinese le prove archeologiche sono semplicemente una provocazione che giustifica la guerra. Devono proteggere le loro bugie con la violenza. Sanno che la comunità internazionale, davanti alle immagini di israeliani e palestinesi che si combattono, perderà totalmente di vista il peccato originale: il rifiuto palestinese della storia e della legittimità ebraica. Il che crea una situazione che ai dirigenti palestinese va bene comunque. Possono continuare a promuovere la favola dell’assenza di connessione fra ebrei e Israele a dispetto di tutte le prove e i fatti, sperando di guadagnare simpatie con il mito della colonizzazione, dell’occupazione e dell’apartheid. E hanno a disposizione uno slogan pronto per mobilitare le masse palestinesi alla violenza, come classico diversivo dalla verità… e guadagnare ulteriori simpatie internazionali.
E’ questa battaglia per la verità ciò che sta al cuore del conflitto israelo-palestinese, giacché i fatti verificabili svelano chi sono i veri occupanti e colonizzatori arrivati con la forza e la conquista, e chi gli autoctoni che hanno conseguito libertà e sovranità in una parte della propria terra.
( jns.org, 27.7.21)

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