Sulla rete è possibile vedere un interessante videoclip: La Mafia non Paga la Crisi. Peccato che nessuna delle reti televisive (ne’ pubbliche ne’ private) lo abbia mandato in onda prima dei tg, perché i dati che vengono snocciolati nel video – a sua volta elaborato sulla base dei risultati di un’indagine di Libera, rete di associazioni antimafia – evidenziano quanto segue:
FATTURATO ANNUO MAFIA S.p.a.: 130 miliardi di euro
– TRAFFICO DI COCAINA E ALTRE DROGHE: 60 miliardi di euro
– ARMI E ALTRI TRAFFICI: 6 miliardi di euro
– RACKET: 9 miliardi di euro
– USURA: 12,6 miliardi di euro
– APPALTI E FORNITURE: 6,5 miliardi di euro
– ALTRE ATTIVITA’ ILLECITE: 36 miliardi di euro.
Numeri impressionanti. La Mafia S.p.A. e’ la prima azienda “Made in Italy” (grazie anche al mancato pagamento delle tasse sugli utili!). Non solo: tutti questi soldi, che sono sottratti alla società ed all’economia sana del Paese con conseguenze disastrose sul piano dello sviluppo e del progresso nazionale, non possono non generare complicità e corruzione nelle istituzioni e nell’economia. I soldi delle mafie girano, vengono ripuliti da banche, finanziarie e consulenti finanziari nei paradisi fiscali (di cui tutti parlano male ma che nessuno osa combattere concretamente), e vengono adoperati, tra le altre cose, per “oliare” i meccanismi della burocrazia e dell’amministrazione pubblica locale e nazionale. Dove non bastano i soldi arriva il piombo dei Kalashnikov.
Sarà per questo che ogni volta che si prova a fare un provvedimento o una leggina per contrastare le relazioni pericolose tra mafia ed economia, di colpire le imprese colluse con le mafie che praticano concorrenza sleale con le imprese oneste o si cerca di spezzare quel circolo vizioso di illegalità economica che alimenta le mafie e ne costituisce la ragion d’essere (le attività criminali hanno come obbiettivo la realizzazione di profitti facili sulle spalle della popolazione e del territorio), immediatamente qualcuno alza la voce e, adducendo motivazioni che in altri contesti sarebbero anche condivisibili, dice che così non va, che occorre riflettere sulle conseguenze che tali provvedimenti possono avere sull’economia o sulla reputazione del ceto politico ed imprenditoriale.
Ricordiamo, per esempio, il deputato Pio La Torre – assassinato dalla mafia insieme al suo autista Rosario Di Salvo – che, tra i primi a preoccuparsi della pericolosità “finanziaria” delle mafie, arrivò a proporre delle normative per colpire e confiscare i patrimoni mafiosi. I desideri di La Torre si sarebbero concretizzati in legge dello Stato soltanto diversi anni dopo, con la legge 109/96 approvata dal Parlamento grazie anche alla mobilitazione di Libera.
Val la pena, allora, menzionare quanto accaduto pochi giorni fa, in Parlamento e, precisamente, nella commissione Giustizia e Affari costituzionali della Camera: verso le due di notte (anche l’orario in cui avvengono queste cose induce a qualche sospetto), una modifica dell’ex aennino Manlio Contento fa cadere l’emendamento al ddl “Sicurezza” sull’obbligo per l’imprenditore titolare di appalti pubblici di denunciare un’estorsione pena la perdita della commessa e l’interdizione dalle gare per tre anni. La modifica proposta da Contento raccoglie il sì del sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo che rappresenta il Guardasigilli Angelino Alfano. Immediatamente si accende uno scontro con la Lega, ed in particolare col titolare del Viminale Maroni, che aveva perorato l’introduzione di tale norma nel ddl.
Liana Milella, la giornalista che ha descritto minuziosamente e rigorosamente la vicenda [1], ha anche ricordato come la norma sull’obbligo di denuncia sia stata contestata alla Camera dall’Ance, che evidentemente la ritiene troppo “punitiva” nei confronti dei titolari delle imprese di costruzione. Come già detto sopra, essa prevede che tra le cause di esclusione da una gara ci sia anche la mancata denuncia dell’estorsione che il pm scopre in un’indagine su terzi. L’imprenditore non è indagato, ma il pm dovrà segnalare l’anomalia all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici. Con la correzione approntata in sede di Commissione Giustizia ed Affari Costituzionali, il pm segnalerà solo imputati di falsa testimonianza o favoreggiamento.
E’ una norma a nostro parere molto importante e che va immediatamente ripristinata: se l’autorità giudiziaria dovesse venire a conoscenza di un’impresa titolare di appalti pubblici che abbia mancato di denunciare una richiesta di estorsione, lo Stato – cioè noi – ha tutto il diritto, non dico di procedere per vie legali contro il titolare dell’impresa , ma perlomeno di escludere costui dalla realizzazione dell’opera coi SOLDI PUBBLICI. Un provvedimento meramente amministrativo che però, come insegnano anni ed anni di legislazione e di contrasto alle attività mafiose, può avere molto più efficacia della lotta sul piano penale, considerata la proverbiale lentezza della macchina giudiziaria – lentezza sulla quale l’Osservatorio è intervenuto a più riprese.
Probabilmente, in altri contesti caratterizzati da un’influenza meno invasiva delle mafie sul territorio e sull’economia, tale norma sarebbe effettivamente troppo “punitiva”. Ma pensiamo un attimo all’autostrada Salerno-Reggio Calabria ed ai milioni di euro ingoiati in un’opera che è ancora aldilà da terminare. Pensiamo alle migliaia di edifici abusivi costruiti dalla camorra, dalla ‘ndrangheta e dalla mafia in zone non edificabili, con materiali scadenti e nell’assoluto disprezzo delle norme di sicurezza per chi ci ha lavorato; costruzioni che vengono giù come un castello di carte alla prima pioggia torrenziale o alla prima scossa sismica con l’inevitabile corollario di morti e feriti.
Ecco, se pensiamo a tutto questo, allora ci rendiamo anche conto di come la battaglia contro la mafia non possa essere soltanto delegata a Forze dell’Ordine e Magistratura. Essa deve assumere sempre di più i connotati di una vera e propria BATTAGLIA CULTURALE. Come stanno facendo ormai da alcuni anni le Associazioni degli imprenditori e dei commercianti del Mezzogiorno che, con coraggio, denunciano gli estorsori ed i mafiosi che succhiamo il sangue alle loro imprese. Tra l’altro proprio dall’Associazione dei costruttori edili di Palermo vengono alcuni tra gli esempi più importanti di un cambio di cultura e di mentalità in questo senso.
Come dimostra Ugo Argiroffi, imprenditore edile e membro del direttivo dell’Associazione Costruttori Edili di Palermo, che quattro anni fa ha deciso di ammettere di avere pagato il pizzo e denunciato i suoi estorsori. In una intervista a Maria Genovese, su Babylonbus del 12 maggio 2008, Argiroffi ha spiegato “Nel 2005 hanno fatto una retata a Bagheria in un grosso cantiere, dove hanno trovato un libro mastro nel quale era registrato anche il mio nome. Quando sono stato convocato ed interrogato dalle forze dell’ordine ho ammesso subito di avere pagato, ed ho contribuito a fare ulteriori arresti e ad ottenere ulteriori prove di queste richieste del pizzo… Non è stato difficile devo dire, Una sorta di ribellione era già in atto…”.
Gli anticorpi sviluppati dalla società civile e dalle Associazioni degli operatori economici (speriamo di poter aggiungere in futuro anche quelli finanziari) costituiscono il migliore antidoto alla diffusione del virus dell’illegalità e del malaffare mafioso. Sarà ovviamente poi l’autorità giudiziaria a stabilire in un pubblico dibattimento se gli imprenditori o i professionisti ritenuti non idonei a gestire appalti pubblici possano anche essere ritenuti colpevoli o meno di collusione con la criminalità organizzata; nel frattempo però evitiamo di far sì che costoro possano costruire ponti che crollano, palazzi che si sbriciolano, autostrade sulle quali bisogna ristendere l’asfalto un mese dopo!
Alessandro Balducci
(membro Osservatorio Legalità)
1) L. Milella, La Repubblica, 29.04.2009