giovedì, Novembre 7, 2024
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La Sicilia, la Corte Costituzionale o Corte politica, Lombardo presidente

Improvvisamente non si parla più di federalismo fiscale e tutti sembrano essersi accorti, ora che la legge ordinaria è in Parlamento, che qualcosa non va. O meglio, qualcuno leggendo bene il testo si è accorto che alla fine chi ci rimette è sempre il meridione d’Italia e ovviamente la Sicilia, colonia romana prima, quindi savoiarda e oggi colonia italiana.
Il problema delle riforme costituzionali è sempre un’arma a doppio taglio e chi le propone, vedi Berlusconi, sembra avere in mente uno stato dove il capo del governo sia allo stesso tempo re e imperatore.
Lombardo, presidente autonomista, in questo contesto politico che lo vede emarginato dalla grandi decisioni nazionali, sembra attratto dalla sirene leghiste che stanno giocando come il gatto con  il topo e non sembra aver realizzato che la legge ordinaria sul federalismo fiscale modifica sostanzialmente le disposizioni statutarie e quindi è incostituzionale, almeno per la Sicilia in quanto lo statuto può essere modificato solo con legge costituzionale.
Lombardo pensa di “dettare” le sue condizioni pur consapevole che, come già accaduto, alla fine Berlusconi e Bossi faranno quello che hanno in mente. O meglio, Berlusconi darà a Bossi quello che vuole.
E la Sicilia? Rimarrà ad aspettare l’uomo del “rinascimento” visto che fino ad oggi la classe politica siciliana non ha dato ai siciliani nessun “vero e convinto” politico di spessore siciliano e sicilianista che sapesse prendere il toro per le corna e iniziare una battaglia con lo stato per l’applicazione dello Statuto … nella sua interezza.
Lombardo fino a qualche tempo fa era tra quelli più convinti, con Miccichè, di “aggiornare” lo Statuto, da quando è presidente della Regione sembra aver cambiato registro e afferma che non bisogna toccarlo ma applicarlo, salvo poi affermare che si forse alcune modifiche sono necessarie. Una dimostrazione unica di coerenza politica.
Rimane il dubbio per alcuni “ascari”:  attuare lo Statuto secondo esigenze stataliste o regionali. Ecco il vero problema. Fin qui nessuna battaglia per il diritto costituzionale è mai stata iniziata dalla casta siciliana, troppo legata agli interessi di Roma capitale e, come affermato dal Questore di Palermo Caruso in una intervista rilasciata al quotidiano La Sicilia il 22 agosto scorso 2008, una parte di essa ancora con mani e piedi legati …
Ogni tanto si chiede l’applicazione di questo o quell’articolo dello Statuto solo per meri interessi economici, ma alla fine tutti coperti ed allineati. Il massimo del problema sembra … mantenere la poltrona a Palazzo Reale e D’Orleans per mantenere i feudi.  
La Corte Costituzionale è corte politica? Ricordando le sentenze con cui la Corte è intervenuta prepotentemente a cambiare le regole”costituzionali”, riteniamo si possa dire che si, la Corte fa politica e si comporterebbe da vero e proprio organo politico  e che  ha sentenziato contro l’autonomia siciliana, rea di essere stata ottenuta prima della nascita della Repubblica.  Il patto non scritto e sempre smentito che lo Statuto non deve essere mai applicato ha avuto sin dalla sua approvazione molte conferme.
Cominciamo con l’Alta Corte prevista dallo Statuto Siciliano. Secondo la Corte Costituzionale la competenza generale sulle questioni di legittimità costituzionale delle leggi o degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni attribuita alla Corte costituzionale dagli artt. 134 della Costituzione, 2 legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 1a legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1,   non soffra alcuna eccezione o limitazione e che, quindi, con l’entrata in funzione della Corte, sia venuta meno la speciale giurisdizione costituzionale in tale materia attribuita all’Alta Corte, precisamente come é venuta meno quella attribuita ai giudici ordinari dalla VII disposizione transitoria e finale della Costituzione. Fondamento di questa tesi la constatazione che la concorrenza delle due giurisdizioni sarebbe in contrasto col principio dell’unità dello Stato, sancito solennemente nell’art. 5 della Costituzione e nell’art. 1 dello Statuto siciliano, e con l’altro che discende dall’unità dell’ordinamento costituzionale e della giurisdizione costituzionale.
La  Corte confonde volutamente le due questioni e le riconduce alla eccezione delle norme transitorie quando è pacifico che lo Statuto di Autonomia Siciliana non fa parte delle norme transitorie ma è parte integrante della Costituzione stessa giusto quanto stabilito dalla legge Costituzionale 26 febbraio 1948 n. , in ottemperanza alla disposizioni di cui al Regio Decreto Legislativo n. 455 del 16 maggio 1946 che al comma 2 dell’articolo unico prescrive: “Lo Statuto predetto sarà sottoposto all’ Assemblea Costituente, per essere coordinato con la nuova Costituzione dello Stato”.
Ed in effetti, lo Statuto, così come è stato approvato e promulgato da Re Umberto è stato “coordinato ed inserito nella Costituzione”.  E la legge costituzionale n. 2 del 26 febbraio 1948 dimostra come lo Statuto non è soggetto alla valutazione della Corte Costituzionale. Nel diritto, nessuno può negare, tantomeno la Corte Costituzionale,  che una legge costituzionale è parte integrante della Costituzione e pertanto esclusa dalla competenza della Corte stessa, di conseguenza, lo Statuto siciliano è un unicum con la Costituzione e come tale va considerato. 
Secondo la Corte, nel nostro ordinamento esisterebbe una graduazione delle norme costituzionali, secondo la quale quelle contenute nella Costituzione, fonte autonoma rispetto ad ogni altra fonte, sarebbero in una posizione di assoluta prevalenza. A un grado inferiore si troverebbero le leggi di revisione costituzionale perché derivano dalla Costituzione la loro efficacia e trovano in questa i loro limiti formali e sostanziali; da codesta loro posizione discenderebbe, per esempio, la conseguenza che esse devono procedere in modo espresso con dichiarata volontà ai mutamenti della Costituzione. Allo stesso grado delle leggi di revisione si troverebbero le altre leggi costituzionali e fra queste, ovviamente, anche quelle che approvano uno Statuto regionale, le quali, anzi, troverebbero un limite insuperabile nelle norme contenute negli artt. 114 e 116 della Costituzione. Esse farebbero parte dell’ordinamento costituzionale, ma non della Costituzione e potrebbero essere abrogate con successive leggi costituzionali o attraverso speciali procedimenti senza necessità di un’esplicita applicazione del procedimento di revisione di cui all’art. 138 della Carta costituzionale.
La Corte gioca sulla disquisizione teorica senza un vero supporto normativo e soprattutto si inventa la graduatoria delle leggi costituzionali che non ha riscontro in nessun articolo della Costituzione stessa, ed è  evidente la natura fortemente politica delle tesi della Corte poiché lo statuto siciliano può essere modificato solo con un procedimento di revisione costituzionale, L.C. 2/1948 al comma 2 dell’articolo 1 che prescrive: “…ferma restando la procedura di revisione preveduta dalla Costituzione….”
Appare chiaro che per quanto sia vero che procedimento della revisione dello Statuto è speciale, ogni cambiamento è un processo di revisione costituzionale. Ed è altrettanto chiaro che in nessun documento costituzionale italiano viene esplicitata una graduatoria delle leggi costituzionali e in nessun documento è previsto che la Corte possa interferire e pronunciarsi su tali leggi.
La Corte si è assunta arbitrariamente il ruolo di “tutore” delle decisioni del popolo espresse attraverso leggi costituzioni e apparrebbe quasi come una autorità decisionale sulla validità delle stesse. Come dire che senza l’avvallo della Corte nessuna modifica costituzionale sarebbe ammessa.  
Alla Corte quinid, sarebbe stato permesso dalla politica, interessata ovviamente, l’assunzione di un ruolo non costituzionale e antidemocratico.
La Corte non può sentenziare su leggi costituzionali perché esse sono il fondamento stesso e l’architrave costituzionale voluto dal popolo attraverso i suoi rappresentanti e la Corte deve solo far rispettare le norme in esso contenute.  Il popolo è sovrano e la Corte non può in nessun caso arrogarsi il diritto di tutore della sua volontà di cambiare la Costituzione.
Sempre secondo la Corte, l’art. 116 della Costituzione consentirebbe é la deroga non già ai principi fondamentali della Costituzione, ma a quelle particolari norme di questa relative alla potestà legislativa e amministrativa delle Regioni a statuto comune. Ora, la “costituzionalizzazione” dello Statuto siciliano, avvenuta il 26 febbraio 1948, altro scopo non ebbe, come si deduce, del resto dal testo della legge, se non quello di assicurare allo Statuto siciliano efficacia costituzionale esclusivamente a questi effetti. Ne conseguirebbe che non si é derogato alla competenza generale, estesa anche alla Sicilia, della Corte costituzionale, espressione del principio dell’unità della giurisdizione costituzionale sancito dalla Costituzione e dalle successive leggi costituzionali. Un esame appunto di queste norme nonché dello Statuto siciliano porterebbe alla conclusione che, per quanto riguarda la materia, cioè le leggi e gli atti aventi forza di legge dello Stato o della Regione siciliana, la competenza della Corte costituzionale é comprensiva di quella attribuita all’Alta Corte. Sarebbe, infatti pacifico, anche tra le parti, che la competenza della Corte costituzionale sussiste per i giudizi di legittimità costituzionale di leggi regionali siciliane sorti in via incidentale – ai sensi dell’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87 – e altrettanto pacifico sarebbe il riconoscimento della competenza della Corte costituzionale a conoscere dei giudizi di legittimità costituzionale della legge regionale siciliana, su impugnativa delle altre Regioni, ai sensi dell’art. 2 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 33 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Escludere dal campo di una competenza così ampia quella dei giudizi di legittimità costituzionale delle leggi regionali, quando l’impugnativa sia proposta in via principale dallo Stato, significherebbe snaturare il principio fondamentale che emerge dall’art. 134 della Costituzione, secondo il quale la competenza in materia costituzionale si determina esclusivamente in base all’oggetto: più specificamente, significherebbe affermare l’esistenza di una competenza speciale concorrente fondata sul procedimento, per cui una controversia nella stessa materia fra gli stessi soggetti ed avente lo stesso oggetto sarebbe devoluta alla cognizione di questo o quel giudice secondo il diverso insorgere della controversia.
La Corte con una decisione politica illecita e non costituzionale si è arrogata il diritto di “modificare” quella costituzione che dovrebbe essere tutelare. E tutto ciò in nome di Roma e degli interessi romani, ma anche per gli interessi della casta siciliana che si è vista “costituzionalizzare” le province abolite dallo Statuto, anche se, e questo confermerebbe la non costituzionalità delle decisioni della Corte, l’Alta Corte resiste nello Statuto anche se viene annotato che le sue competenze sono state “assorbite” dalla Corte Costituzionale italiana e il dettato statutario riferito alle province, recita ancora: “sono abolite le circoscrizioni provinciali e gli uffici loro collegati…” . Macchiavelli non poteva inventare di meglio.
Anche le province nello Statuto continuano ad essere “abolite” … Eppure insistono senza alcuna logica giuridica e soprattutto assorbono ingenti somme di denaro pubblico senza alcun beneficio per la cittadinanza.   
Tutto ciò dimostrerebbe che quando in Italia si parla di diretto e di legalità bisogna “capire” di  quale diritto e quale legalità si parla.
E i politici autonomisti siciliani? Colpiti da grave amnesie costituzionali. Anche l’attuale presidente della Regione che è stato presidente di un ente abolito per costituzione.
Salvare la Costituzione dalla politica sarebbe il primo vero passo verso una democrazia compiuta, purtroppo la politica ha avuto il sopravvento e quel baluardo chiamato Costituzione sembra un libro da chiamare in causa solo per interessi politici e di casta.

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