sabato, Luglio 27, 2024
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L'assessore Cimino, le zone franche e tanta, tanta confusione e demagogia

Zone franche in Turchia
Zone franche in Turchia

L’assessore al Bilancio e Finanze, Michele Cimino, ha chiesto con una lettera al Cipe a al ministero dello Sviluppo Economico la modifica dei criteri di individuazione delle Zfu (Zone franche urbane) in modo da compensare i disagi socio-ambientali nei confronti delle popolazioni residenti nelle aree idonee per la realizzazione di grandi opere infrastrutturali o per la realizzazione di grande impianti, quali rigassificatori e termovalorizzatori. 
In particolare, l’assessore Cimino sollecita la revisione delle condizioni di ammissibilità per quel che concerne la dimensione demografica minima dei comuni, riducendo la stessa a 15.000 abitanti, e l’attribuzione di una riserva o un maggior punteggio per l’individuazione delle Zfu dove saranno ubicati o installati gli impianti.
Già, ma tutto questo cosa c’entra con le zone franche che non sono aree di compensazione sociale e di sovvenzione ma aree pensate per lo sviluppo economico di un’area?
Ricordiamo a noi stessi e se ci permette, all’assessore Cimino, riponendo un nostro articolo del 2 agosto 2008, cosa sono le “zone franche”
“Un porto franco, zona franca, o anche zona economica libera è un territorio delimitato di un paese dove si gode di alcuni benefici tributari, come il non pagare dazi di importazione di merci o l’assenza di imposte“. Questo intende l’estensione a tutto il territorio della zona franca di particolari condizioni economiche che incidono anche sul tessuto sociale.
In pratica, per chi non avesse chiaro il concetto, per zona franca si intende un’area all’interno di uno stato che gode di particolari condizioni quali l’esenzione fiscale e doganale (uno strumento importante per l’import e l’export) e per il fabbisogno locale di generi alimentari di prima necessità e di materie prime, che mentre per le aziende si traduce in esenzione di tasse per importare i propri macchinari e materie prime da paesi fuori dal mercato europeo, ed esportare i propri prodotti, per i cittadini i benefici fiscali si tradurrebbero in minore tasse su generi alimentari, benzina, acquisto elettrodo mesti, auto, etc… Cosa intende erroneamente per zona franca il governo nazionale e quello regionale che gli va dietro:  “totale esenzione, per i primi 5 anni, Irap, Ici, imposte su redditi, contributi lavoro dipendente, e parziale sui  successivi 4 anni” per industrie, piccole e media aziende.” Così che, la speculazione di certi industriali che usufruiscono dei questi benefici, trascorso il tempo delle vacche grasse e dei contributi statali, chiudono o falliscono. La storia siciliana di esempio ne può vantane a centinaia.
Nient’altro che fumo di mezza estate per far credere di aver trovato il “quid” per governare l’Isola e farla risorgere. Prendono in giro il popolo e se ne vantano pure.
La fiscalità di vantaggio, obiettivo di Raffaele Lombardo, che comunque non è la panacea di tutti i mali della Sicilia a meno che la classe politica non dimostri di voler governare per gli interessi dell’Isola e dei siciliani, doveva essere perseguita tenacemente ed evitare di cadere nella trappola nazionale che cancrenizza le situazioni lasciando in realtà l’Isola nelle stesse condizioni di prima senza possibilità di miglioramento.
Il presidente Lombardo parla tanto, minaccia (politicamente) tanto il governo nazionale, ma alla fine, come tutti in questi 60 anni di ingloriosa storia della casta politica siciliana, si accoda ed obbedisce a Roma.
Secondo la brillante ed illuminante idea della giunta regionale che ha deciso in quali aree della Sicilia debbono essere istituite queste zone, la loro economia degradata avrà possibilità di sviluppo socio economico. Basta crederci. Comunque sia, le aree cittadine individuate sono: Catania, Gela, Erice, Termini Imerese, Messina, Barcellona Pozzo di Gotto, Acicatena, Castelvetrano, Trapani, Acireale, Giarre, Sciacca. La delibera approvata dalla giunta verrà adesso inviata al ministero dell’Economia.
Arriverà qualche soldo, si ingrasserà qualche azienda del nord e tutto rimarrà immutato.
Già, il cambiamento purché tutto rimanga così com’è oggi. Aveva ragione il Principe di Salina, la Sicilia è questa, grande, bella e dannata.
Se i nostri politici studiassero la storia siciliana si accorgerebbero che di zone franche “VERE” in Sicilia se ne parla dal 1784 ed istituite nel 1927 (Regio decreto 27 dicembre 1927, n. 2395)  (Zona Franca di Messina e porto franco di Catania, Messina e Palermo). Anche allora, dannata Sicilia, non furono attuati per la insipienza e per la totale ignoranza dei politici siciliani che non avevano ben compreso l’importanza delle misure adottate dal governo di allora.
Ma un tentativo di istituire zone franche in Sicilia fu avviato anche nel burrascoso ottobre 1860 ma allora gli interessi nazionali prevalsero. Infatti nella relazione del Consiglio Straordinario di Stato   “(…) l’Italia dovrebbe altamente favorirvi, diffondervi e, fin dove si possa, generalizzarvi il sistema delle scale franche, per modo che le merci entrassero con piena libertà nei porti dell’isola e con pienissima libertà potessero uscirne di nuovo”. Ed ancora “(…) se il taglio, infatti, dell’istmo di Suez sarà effettuato, è sicuramente sulla Sicilia che il Regno italiano dovrà contare per impossessarsi di quel commercio che è destinato a ripopolare di navi il Mediterraneo. Allora, ciò che oggi può consigliarsi come conveniente, diverrebbe una necessità: interessa altamente a tutta l’Italia che la sua Sicilia possa apparecchiarsi sin d’ora a divenire un emporio universale del commercio orientale in Europa(…) l’avvenire ed il presente doganale della Sicilia abbisogna di essere regolato con i princìpi ed intenti, i quali non sempre converrà che siano perfettamente conformi a quelli che avranno ragione di prevalere per il rimanente della penisola(…)“.
Il progetto non ebbe successo perché ostacolato da precisi orientamenti ed interessi che finalizzavano lo sviluppo economico nazionale nel rapporto con i Paesi del centro Europa.La Sicilia al servizio dell’Italia peninsulare – un dogma di stato.
Ma anche non volendo andare troppo lontano nel tempo non sarebbe male per i componenti della giunta se leggessero la proposta dell’allora ministro degli Esteri Gaetano Martino che negli anni ‘50 propose la zona franca per Messina.
Forse se si cominciasse seriamente a parlare di autonomia e pensare quanti siciliani illustri sono morti e mai ricordati dalla politica locale, se la casta politica siciliana che probabilmente non conosce neanche le norme dello Statuto, studiasse un po’ di storia della Sicilia, se fosse capace di apprendere dalla storia, forse sarebbe in grado di capire che la Sicilia è un popolo che per secoli è stato sfruttato dall’Italia e continua ad esserlo con compiacenza della casta siciliana politica.
Il riconoscimento di aree come “zone franche” in Sicilia, con tutto ciò che questo fatto comporta di positivo, dovrebbe costituire quasi un atto dovuto dallo Stato e preteso dal governo regionale  a favore del territorio e delle popolazioni che vi abitano, destinate a sopportare oneri gravosi.  D’altro canto, istituire una “zona franca” al centro del Mediterraneo, sulle rotte battute dal traffico mercantile più intenso, costituirebbe una base di appoggio per gli operatori commerciali nazionali ed esteri ed, in ultima analisi, un vantaggio per l’economia delle zone e dell’intero Paese.
La determinazione di mettere alcuni territori nazionali fuori dalla linea doganale, ha avuto tradizioni remote in Sicilia, secondo diverse forme istituzionali, per le prospettive dei rilevanti vantaggi economici connessi, soprattutto, ad una maggiore libertà di circolazione e di attività sotto il profilo dei controlli doganali.
Ma si parlava di zone franche non di aree i cui cittadini devono essere compensati per il mancato sviluppo.
Insomma, ancora una volta, tanto dilettantismo allo sbaraglio.

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