giovedì, Aprile 18, 2024
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Il diritto all’informazione è il diritto ad essere informati

“L’informazione più libera e meno condizionata la si trova ormai solo online, perché i grandi editori non hanno interesse a pubblicare certe notizie”, con queste parole Margherita Asta, Coordinatrice provinciale di Libera – nomi e numeri contro le mafie, ha avviato il dibattito
“Per una informazione libera: giornalismo e deontologia professionale”, organizzato da Articolo 21, Liberainformazione e Federazione Nazionale della Stampa tenutosi sabato pomeriggio a Trapani. Obiettivo della riunione era anche porre l’attenzione sulla necessità di difendere i giornalisti che si occupano di antimafia e dei legami tra mafie e poteri forti, giornalisti sempre più spesso a rischio querela, richiesta in sede civile di risarcimento danni, intimidazione e più o meno velate minacce.

A parlare in sala erano presenti Roberto Morrione Presidente di Liberainformazione, Alberto Spampinato dell’esecutivo nazionale della Fnsi e Giorgio Santelli giornalista del quotidiano on line http://www.articolo21.info/  insieme a Lorenzo Diana, responsabile antimafia di Articolo 21, che hanno volentieri accettato l’invito all’iniziativa pubblica creata in collaborazione con Libera Trapani. Interventi anche di Franco Nicastro, presidente dell’Ordine dei giornalisti della Sicilia, del rappresentate di Assostampa Sicilia Andrea Castellano e di Rino Giacalone recentemente accusato in pubblico di essere mafioso dal neosindaco di Salemi Vittorio Sgarbi, a seguito dell’articolo in cui il giornalista illustrava lo scenario politico del trapanese in cui l’onorevole Sgarbi ha trovato sua degna collocazione.

Dalla discussione in sala si è tracciato un quadro affatto deprimente sul diritto a informare e soprattutto ad essere informati, sia a livello locale (monopolio televisivo di Telesud di cui è anche azionista Antonio D’Alì e due soli quotidiani che danno notizie su Trapani e provincia: Il Giornale di Sicilia e La Sicilia), sia nazionale, perchè, dice Roberto Morrione, esistono serie minacce di imbavagliamento. Un più che probabile depauperamento del diritto di cronaca e un rapido spegnersi del giudizio dell’opinione pubblica può presto arrivare, ricorda Morrione, dall’approvazione, da parte di questo governo, del divieto di pubblicazione delle intercettazioni a carico di indagati fino all’inizio del dibattimento (nel precedente esecutivo Mastella ci aveva già gentilmente provato e i parlamentari d’ogni schieramento politico ancora ringraziano).

Aggiungiamo noi che a tali attività di governo i telegiornali nazionali danno pochissimo spazio e se lo fanno è soprattutto per stigmatizzare lo sdegno di cittadini inorriditi di fronte a quelli che vengono dipinti come cronisti cinici e senza cuore, magistrati a caccia di fama, inquirenti spendaccioni e in definitiva assaltatori della privacy sacrosantissima.

Ma chi decide di fare attività politica non dovrebbe vivere in una casa di vetro? E non saremmo tutti più contenti di sapere oggi e non fra due o tre anni se il pubblico guerriero della lotta alla droga (parlamentare / magistrato / capo della polizia / direttore asl) è un fan privato della cocaina?

Tema della serata è stato anche quello della minaccia ai giornalisti che fanno bene il proprio mestiere e che non lo fanno a mezzo servizio: purtroppo, annota Morrione, da tre anni nessuno degli editori seduti al tavolo delle trattative per il rinnovo del contratto nazionale di categoria ha fretta di concluderlo, vista la crescente offerta di manodopera a costo minimo dei collaboratori, dei precari e dei free lance, tutti giornalisti costretti a lavorare sotto ricatto perché privi di tutela contrattuale. Non esiste nemmeno, a tutt’oggi, uno straccio di statuto degli editori, osserva Morrione, in cui si inviti il datore di lavoro a non ostacolare o almeno non azzerare inchieste nate dal lavoro sul campo dei propri giornalisti. Per Lorenzo Diana la soluzione più efficace, che è poi anche una campagna attiva di Articolo21, è non abbassare lo sguardo sugli episodi come quello di Salemi ma dare il più possibile ribalta a tutti quei casi in cui il libero esercizio di cronaca è stato minacciato e messo a tacere da denunce, calunnie e discredito verso chi fa il suo lavoro sino in fondo.

E quando parliamo di minacce non è a quelle dei boss mafiosi che dobbiamo pensare ma, soprattutto qui a Trapani, alle potenti pressioni politiche: la mafia dei morti ammazzati non è l’ostacolo più rilevante alla libertà di stampa in questa provincia (del resto ai boss non è mai convenuto attirare l’attenzione su di sè attraverso fatti di sangue). Oggi, interviene Castellano, i veri detentori del potere di veto su fatti, notizie, inchieste sono i colletti bianchi, quelli che si ricordano tutto, che possono farti il deserto intorno, querelarti o farti cacciare dalle redazioni se pronunci il nome e cognome che conta, gli stessi politici che invece ti premiano e portano in palmo di mano se taci o glissi. Politicosauri e gattopardi che non dimenticano gli amici degli amici.

L’idea di istituire un Osservatorio Nazionale permanente che faccia da collettore per tutte le notizie non pubblicate, sparse tra i tanti lavori giornalistici che non trovano sponda presso gli editori viene dalla Federazione nazionale della stampa che con questo progetto ha come obiettivo la pubblicazione annuale di un Rapporto nazionale che possa in qualche modo tutelare i giornalisti impossibilitati a pubblicare o minacciati. Una sorta di edizione delle notizie nascoste sembra definirlo Alberto Spampinato, che aggiunge come la solitudine del cronista “scomodo” anche all’interno della propria redazione sia un problema reale e per combatterla auspica una riorganizzazione del lavoro d’organico, a partire dall’appoggio sostanziale dei colleghi e dei direttori di testata, troppo spesso indotti a chiudere inchieste per timore di perdere agganci politici o subire ritorsioni di varia natura.

E’ di quattro giorno fa la conferenza stampa su  Cosa Nostra resort, l’indagine coordinata dai pm della Dda di Palermo, dal procuratore aggiunto Roberto Scarpinato e dai sostituti Andrea Tarondo e Paolo Guido di Trapani ed il decisivo apporto della Squadra Mobile guidata da Giuseppe Linares e la Guardia di Finanza. L’inchiesta ha svelato la continua attività mafiosa di Tommaso Coppola in carcere dal 2005, che dal parlatorio dava istruzioni al nipote per non mandare in vacca gli appalti ed i cantieri in corso: per farlo, lo invitava a rivolgersi al senatore…A domanda “chi è il senatore?” gli inquirenti non rispondono. Ma grazie ad un lancio ANSA (che ha semplicemente riportato le parole scritte nelle pubbliche ordinanze d’arresto) il senatore in questione si è rivelato Antonio D’Alì e nelle carte è citato anche l’ex prefetto Finazzo. A noi pare che questo eccesso di discrezione da parte degli investigatori sia un segnale su cui riflettere, ci fa capire che gli inquirenti di Trapani si sentono sempre più esposti al rischio di trasferimento proprio perché il loro lavoro produce frutti sgraditi e navigano a vista per non vedere insabbiate le proprie inchieste sui colletti bianchi, sui legami tra massoneria, potenti di questa regione e mafia imprenditoriale, oggi ben preparata ad usare leggi come la 488.

Significativo il racconto di Rino Giacalone che recentemente ha ricevuto una richiesta di risarcimento danni (in sede civile) dal Sindaco di Trapani, il quale si è sentito “paragonato” dal giornalista al super latitante Matteo Messina Denaro, riguardo alla questione sui  professionisti dell’antimafia.

Il sindaco “paradossalmente”, se vincerà la causa, devolverà cinquantamila euro a Libera Trapani.

Termina la serata, nessun giovane in sala, fuori, in Via Garibaldi, la struscio natalizio imperversa, tra le offerte Telethon dei Lyons e lo sfoggio di toilette da grandi firme.

Ilaria Vicini)

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